1979

La serie delle regole abbandonate, delle leggi non più valide, cadute in disuso, si chiama storia, memoria. La restituzione di quest’ultima, le implicazioni esistenti tra il rito, la regola e il gioco e il loro tragico svelamento sono gli spettri di questa mostra, rivelati attraverso la resa di un’epoca, di un decennio in particolare, gli anni ’70 del 900. Il lavoro di Anna Never è la restituzione memoriale e doppiamente filtrata di un decennio. I quadri portano con sé il carattere della pellicola televisivo/cinematografica del periodo, restituendo la memoria “massmediale” in cui è data la forma del ricordo, ragione per cui immaginiamo il primo novecento in bianco e nero e gli anni ’70 con un certo grado di saturazione del colore. Le geometrie fredde delle case ritratte, immobilizzate in una dimensione di semi-abbandono e trascuratezza, orfane del baloccarsi della vita, sembrano mostrare nella loro squadratura scaduta il nulla nascosto dietro ogni regola, abitazioni lasciate a se stesse, gusci dimenticati di lumaca. Il tempo genera e dissipa norme, necessita in modo costante di nuovi rivestimenti, illusioni, metodi per alimentare la beffa della vita. Così le costruzioni umane si mostrano per quello che sono sempre state, vuote congetture, fatiscenti come ogni epoca. In questa prospettiva l’Unione Sovietica rappresenta per antonomasia, nella memoria collettiva dell’epoca riconsegnata, il sistema totalizzante, rigido e cieco della macchina dello Stato, presenza invisibile che tutto governa e schiaccia sotto i suoi dettami e la sua omertà. Elena Mukhina, ginnasta di quello stesso Stato, attiva nella seconda metà del decennio, è rappresentata in queste opere nella sua gloria luminosa e nella sua decadenza. Eroe bambina sacrificata sull’altare della patria, ritratta nella divina inconsapevolezza del gesto atletico, nel rilasciare autografi e in primi piani che tentano di riconsegnarci la sua soggettività, di liberare la nuda creatura dall’asfissia dell’atleta.